La Fast Fashion, la moda 'usa e getta', per aumentare i guadagni produce capi di abbigliamento in modo rapido ed economico, inquinando l'ambiente e calpestando i diritti degli esseri umani.
L'obiettivo di grandi marchi come H&M, Primark, Zara, Benetton, Mango, Pull & Bear e molti altri, è seguire le tendenze del momento producendo nell'arco di poche settimane nuove collezioni di prodotti low cost, con specifiche strategie di marketing e prendendo spunto dalle passerelle e dagli influencer.
Le persone sono felici di acquistare a prezzi bassissimi capi simili a quelli delle griffes più famose. Alcuni perché non hanno la possibilità economica di acquistare capi di qualità, altri perché sentono la necessità di rinnovare spesso il guardaroba per stare al passo con le tendenze imposte dalla moda.
Ma è necessario conoscere cosa c'è dietro le vetrine sfavillanti dei grandi marchi fast.
DANNI AMBIENTALI
L'industria tessile è al secondo posto per il forte impatto ambientale mondiale, in quanto utilizza metodi di produzione altamente inquinanti. I grandi marchi affidano la produzione ad aziende che a loro volta si rivolgono ad aziende più piccole, creando una produzione a catena. Queste piccole imprese sono dislocate nei posti più sperduti del pianeta e risulta impossibile tracciarle e controllarle. Spesso utilizzano tinture tossiche, materie prime di dubbia provenienza, e non rispettano le norme di legge.
Il tessuto più utilizzato è il poliestere, un materiale altamente tossico derivato del petrolio, non biodegradabile. Il corpo umano, indossando capi realizzati in poliestere, assorbe le sostanze tossiche e queste stesse sostanze vengono rilasciate nelle acque ad ogni lavaggio, inquinando mari e fiumi.
In alcuni paesi è stato calcolato in alcuni punti dei fiumi un PH 12 (acidissimo) a causa delle candeggine versate. Queste stesse acque vengono utilizzate per irrigare le coltivazioni e per lavarsi.
In Africa alcuni villaggi restano senz'acqua perché questa viene convogliata negli impianti tessili.
Tonnellate di scarti tessili e milioni di vestiti non riciclabili finiscono nelle discariche, scaricando nel terreno le sostanze tossiche, e creando montagne di abiti non biodegradabili, oppure finiscono negli inceneritori provocando inquinamento atmosferico, effetto serra e cambiamenti climatici.
Anche il trasporto dei tessili, dei capi semilavorati e dei capi finiti da un paese all'altro provoca inquinamento atmosferico.
DANNI SOCIALI
La lavorazione dei capi avviene in paesi in via di sviluppo, come Bangladesh, Cambogia, Vietnam, Africa, India, Cina, dove ci sono condizioni lavorative, igieniche e sociali al di sotto della legalità.
I grandi brand della Fast Fashion propongono alle fabbriche commesse di lavoro al ribasso, per minimizzare i costi di produzione ed offrire prezzi più bassi al consumatore finale (sempre più soddisfatto).
I paesi produttori vedono in questo sistema (neocolonialista) un'opportunità di crescita, in realtà si tratta di sfruttamento vergognoso e ignobile. I lavoratori (consenzienti per necessità) sono sottopagati e costretti ad orari inumani. Per avere un'idea in Bangladesh il salario minimo è di 90 USD. Ed è da sottolineare la presenza di polizia industriale per evitare proteste o scioperi. In diversi paesi i bambini lavorano nelle piantagioni di cotone in condizioni di lavoro forzato e retribuiti con del cibo.
LE DOMANDE CHE POSSIAMO FARCI PRIMA DI ACQUISTARE UN CAPO
Mi serve davvero?
Dove è stato fatto?
Durerà nel tempo?
Con quale materiale è stato realizzato?
Quante volte lo indosserò?
Invito le vostre coscienze alla riflessione sperando in un futuro migliore.